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L'UOMO SENZA PAURA

 

N° 51

 

LA LEGGE DELLA PAURA

 

(PARTE PRIMA)

 

 

TERRORE CIECO

 

Di Carlo Monni

 

1.

 

 

Come ogni mattina il sole che penetra attraverso le veneziane colpisce il mio viso svegliandomi con il suo calore. Con fatica mi metto in piedi. Lo stridore di uno pneumatico sull’asfalto ad un paio di isolati di distanza colpisce le mie orecchie ipersensibili. Mi ci vuole qualche secondo per riuscire ad isolare rumori e odori sgradevoli e spingerli in sottofondo. Avere supersensi che compensano la mia cecità può essere un vantaggio ma ha anche i suoi lati spiacevoli.

L’acqua della doccia scivola sulla mia pelle mentre riesco a ridurre la sensazione di calore. Radermi non è meno difficile, ma ormai ho imparato qual è il momento gusto per non ripassare troppo col rasoio.

Uso il mio tatto super sensibile per distinguere i colori sugli abiti da scegliere. Oggi andrà bene un vestito scuro: il giudice Coffin è uno che tiene molto alla forma.

Il viaggio verso il Tribunale Penale è abbastanza semplice. Come ogni giorno il vecchio palazzo di Centre Street è pieno di attività. Decine, centinaia di cuori che battono all’unisono, di voci che si sovrappongono in una cacofonia che mi è ormai familiare. Solite chiacchiere da Tribunale: quado quel vecchio bastardo di Coffin si deciderà ad andare in pensione? Bill Hao si candiderà come Procuratore Distrettuale? Hai visto la nuova Vice Procuratrice? Un vero schianto.

Questo è il mio mondo: mi chiamo Matt Murdock e sono un avvocato… e anche qualcos’altro.

 

            Ci sono giorni in cui mi chiedo se valga la pena continuare a venire in redazione. C’è davvero qualcuno là fuori che legge ancora i giornali? In quest’era di TV, notizie online, blog ed altre diavolerie mi sento un dinosauro capitato per sbaglio nel ventesimo secolo, ma almeno un dinosauro saprebbe reagire. Ok, sono in una delle mie giornate di cattivo umore. Non fateci caso: mi capita spesso da quando ho deciso di smettere di fumare… o meglio da quando mia moglie l’ha deciso per me.

-Ehi Ben… come va oggi?-

            Candace Nelson, giovane, bionda, spavalda, laureata con ottimi voti alla facoltà di giornalismo dell’U.C.L.A.[1] o da qualche altra parte che ora non ricordo. Niente laurea per me, invece, solo la vecchia scuola della strada: un bel po’ di lavoro di gambe, giorni e giorni ad inseguire ambulanze o a fare la posta ai poliziotti sulle soglie dei distretti. Se io sono un dinosauro, lei è il futuro e confesso che quando Robbie[2] me l’ha appioppata ero piuttosto arrabbiato: sono un giornalista io, non una balia per poppanti. Col tempo ho cambiato idea, magari ha a che fare col fatto che siamo scampati alla morte insieme almeno un paio di volte.

-Come al solito.- rispondo –quali sono le notizie fresche?-

-Poca roba: c’è stato del trambusto nella villa di quel rapper rapito… dicono che sia stato visto Moon Knight,[3] poi è esploso il vecchio penitenziario di Hart Island, pare ci fossero di mezzo Luke Cage e Iron Fist.-[4]

-Uhm… c’è già chi li segue, quelli. Speravo in qualcosa su cui affondare i denti: crimine organizzato o qualcosa di simile.-

-Dopo la caduta del Gufo tutti i grossi calibri se ne stanno quieti…anche se corre voce che Testa di Martello abbia in mente qualcosa.-

-Quando quello ha in mente qualcosa, in genere comprende uomini armati di mitragliatore su macchine veloci. E nessun rispetto per gli eventuali innocenti passanti. Dovremo tenere gli occhi aperti.-

            Mi chiamo Ben Urich, sono un giornalista e ci sono giorni in cui odio avere ragione. Questo è uno di loro.

 

            Non potrebbero esserci due uomini più diversi di questi due, eppure un destino bizzarro li ha fatti incontrare e resi alleati. Richard Fisk è biondo, snello, muscoli irrobustiti da regolari sessioni di allenamento, ma non così evidenti come quelli di un culturista e men che meno come quelli di suo padre, è colto e raffinato, educato nelle migliori scuole che il denaro può assicurare. Giacomo “Jimmy Six” Fortunato è molto diverso: capelli neri, fisico massiccio, lo si potrebbe scambiare per obeso prima di accorgersi che quello che viene preso per grasso sono in realtà 250 chili di solidi muscoli e pagare il prezzo per averlo sottovalutato.

Una cosa questi due hanno in comune: i loro padri sono stati entrambi il Capo dei Capi del Crimine Organizzato della Costa Est degli Stati Uniti, un ruolo che ora hanno ereditato congiuntamente. Jimmy è la facciata pubblica: il gangster dal cuore d’oro, sempre attento a non danneggiare gli innocenti e che perfino il Punitore ha risparmiato anche se non sarà più così magnanimo in futuro, questo è certo. Richard agisce dietro le quinte: per tutti è solo un giovane brillante che vuol fare ammenda per i crimini del padre, il famigerato Kingpin, investendo i suoi soldi in iniziative a favore delle vittime dei crimini violenti. 

Certo, girano delle voci su di lui: che fosse una specie di supercriminale in costume chiamato Schemer, che ci fosse lui dietro la maschera del boss criminale che si faceva chiamare La Rosa, anche se successive indagini hanno dimostrato quest’ultimo che era in realtà un giornalista di nome Jacob Conover,[5] che sia coinvolto nell’omicidio di un poliziotto e che sia il misterioso vigilante dalla breve carriera che si faceva chiamare Rosa Rossa, ma nessuno ha mai potuto portare una sola prova di questo e nessuno presta troppa attenzione alle voci quando la sua attenzione è attratta dalla nuova notizia del giorno.

-Allora Jimmy…- sta chiedendo Richard.-… come ti trovi nella tua nuova posizione?-

-Meglio di quanto credessi… ti ringrazio di avermi regalato le poltrone rinforzate di tuo padre.-

            Richard apre la bocca per replicare, poi capisce che Jimmy stava facendo una battuta e sorride.

-Ci fai la tua figura.- si limita a dire –Ma parliamo di affari: come procede la nostra ristrutturazione?-

-Procede. Ha dovuto spaccare qualche osso per farmi capire, ma la maggior parte dei capi è passata dalla nostra parte, anche se il Gufo ha ancora degli alleati e Testa di Martello si sta costruendo una base di potere nel Lower East Side ed ha rilevato i racket della protezione e del commercio di droga che noi abbiamo lasciato perdere. Ci darà dei guai, me lo sento: vuole il nostro posto.-

-Che ci provi a prenderlo. Ho faticato per arrivare sin qui ed ora non mi farò togliere tutto da quel buffone.-

-Preparati a lottare, allora.-

 

 

2.

 

 

            Comincia lentamente, con una sorta di cerchio alla testa che si espande pian piano fino a raggiungere la gola e darmi un senso di soffocamento. I miei sensi sono come impazziti e l’’unica cosa che vorrei fare è scappare, correre lontano. I cuori della gente intorno a me sembrano martelli pneumatici impazziti. Il giudice urla qualcosa ma io non lo capisco. Le mie dita si aggrappano al tavolo della difesa, devo andar via di qui… sto perdendo il controllo… sto…

            Poi com’era iniziato tutto finisce. Il respiro torna regolare, il battito cardiaco rallenta, i sensi tornano a funzionare. Tutto sembra normale ma non lo è: il giudice Coffin giace scomposto sul suo scranno. Mentre chiamano i soccorsi il mio superudito mi dice già che ha avuto un infarto e la colpa è tutta di qualcosa che ha colpito tutti nell’aula, qualcosa di cui dicono io sia privo.  Sbagliano: sono solo più bravo di altri a superarla, ma anch’io conosco la paura.

 

            Si chiama Dakota North. Probabilmente suo padre pensava che fosse divertente chiamarla così, ma suo padre non è mai stato famoso per il suo senso dell’umorismo. A vederla in questo bar per single, con i capelli rossi e fluenti a ricaderle sulle spalle, il giubbotto di pelle color verde militare ed i jeans aderenti a fasciarle le gambe perfette e i glutei sodi nessuno direbbe che è una donna pericolosa, ma potrebbe forse bastare un’occhiata ai suoi occhi verdi, freddi come smeraldi, per cambiare idea.

            Un tempo era una modella e molto richiesta anche: il suo viso ed il suo corpo sono apparsi sulle copertine di tutte e riviste più note ed importanti. Si dice che esista un servizio di Playboy che suo padre è riuscito a non far pubblicare appena in tempo. I collezionisti di rarità pagherebbero una fortuna per mettere le mani su una delle poche copie stampate sfuggire alla distruzione. Naturalmente si dice che Hugh Hefner ne abbai una copia tutta sua. Questo a lei non importa: ha lasciato da tempo il mondo patinato della moda per quello più adrenalinico e pericoloso degli investigatori privati e guardie del corpo. Il che ci riporta alle nostre considerazioni inziali: sì, Dakota North è una donna pericolosa a cui piace camminare sul ciglio dell’autodistruzione.

            Forse è qui perché sta seguendo una pista o forse si è solo fermata a bere un drink o magari è in cerca di un compagno occasionale per la notte che deve ancora venire, questo non c’interessa al momento, perché qualunque fossero le intenzioni di Dakota, non si realizzeranno qui e oggi.

            La prima cosa che prova è disorientamento. Cade dallo sgabello e sente la durezza del pavimento. Non prova nemmeno a rialzarsi e si tiene la testa tra le mani. Cerca di ignorare le urla che sente e striscia verso l’uscita. Qualcuno la tocca, lei non bada nemmeno a cosa le sta dicendo. In preda ad un irragionevole panico afferra una bottiglia rotta e colpisce senza nemmeno guardare. Sente un grido strozzato ma non ci bada, solo uscire conta.

            Poi la sensazione di panico diminuisce e Dakota riprende il controllo di se solo per accorgersi che il bar sembra come devastato dalla furia di un uragano. Da quel che può vedere ci sono diversi feriti ma nessun morto per fortuna.

            Tutto quel panico improvviso non può essere stato naturale: qualcosa o qualcuno l’ha provocato e lei prova il forte desiderio di scovarlo e fargliela pagare, perché se c’è una cosa che Dakota North odia è avere paura.

 

            Oggi la città è stata sconvolta da due ondate successive di panico, che hanno percorso Manhattan in tutta la sua lunghezza. Non c’era nulla di cui aver paura e nessun motivo di averne, eppure la gente ha ceduto ad un improvviso panico ed il risultato è stato che in tutta la città si contano morti, feriti e danneggiamenti vari.

            Per quanto mi riguarda, credo che fosse un esperimento o, se volete, una distorta forma di saluto per annunciare che Mister Fear è tornato in città.

 

 

3.

 

 

            Il bar di Josie a Hell’s Kitchen è il mio posto favorito dove scovare informazioni. Ce ne sono altri ovviamente, ma si può dire che ci sono affezionato.

Al mio ingresso il brusio delle chiacchiere cessa, il ritmo dei battiti cambia e posso sentire l’intensità bruciante dei loro sguardi, anche se non posso vederli. Si scostano al mio passaggio quasi temessero anche solo di toccarmi. È l’effetto che faccio a qualcuno quando indosso il mio costume rosso.

-Devil…- mi si rivolge la padrona –Non rovinarmi il locale, per carità, l’ho appena fatto rimettere a nuovo.-

-Tranquilla Josie.- rispondo –Non succederà nulla se i ragazzi qui dentro faranno i bravi e risponderanno alle mie domande... e credo di aver appena notato il tipo adatto con cui cominciare.-

            Il tipo in questione è un nero smilzo con i baffetti. Non che io sia in grado di distinguere questo genere di cose coi miei sensi, ma conosco Turk da anni e certe cose le so ormai. Turk tenta di fuggire ma basta un lancio del cavo del mio bastone che si arrotola alle sue caviglie per fermarlo, poi devo solo trascinarlo verso di me.

-Avresti dovuto fare il bravo bambino, Turk, lo sai che non funziona mai quando tenti di sfuggirmi.-

-Io non so niente.-

-Davvero? Lo dici sempre e poi finisce che canti come un canarino. Pare che Mister Fear sia tornato in città ed io voglio sapere dove posso trovarlo.-

-Ma… ma io non lo so… davvero.-

-Dice la verità, Devil.- interviene uno degli altri avventori del locale –Quel Fear non è certo il tipo che frequenta locali come questo.-

            Non avevo bisogno che intervenisse: i miei supersensi avevano già stabilito che Turk non mentiva, ma va bene così.

-Forse dovresti cercarlo in uno di quei posti dove si radunano quelli in costume.- mi dice Turk

            Il Bar senza Nome? Potrebbe essere un’idea, se sapessi dove trovarlo, ma d’altra parte, chiunque ci sia sotto la maschera di Mister Fear non dovrebbe essere il tipo che frequenta anche posti del genere.

            Beh, un tentativo dovevo pur farlo. Mi sa che dovrò tentare un nuovo approccio.

 

            Quando Dakota North entra negli uffici dell’agenzia investigativa dello studio legale Nelson & Murdock Willie Lincoln è già al lavoro. Le sue dita sfiorano rapporti redatti in alfabeto Braille mentre con l’altra mano manovra uno di quegli speciali computer per ciechi

-Ciao Dakota.- la saluta senza nemmeno alzare la testa.

-Come sapevi che ero io?- chiede la ragazza.

-È facile: il tuo profumo è inconfondibile e così anche il rumore dei tuoi passi.-

Dakota ha sentito dire che i ciechi compensano la mancanza della vista con l’aumento dell’efficienza degli altri sensi, ma non può fare a meno di rimanere stupita quando vede in azione queste doti e rinnovare l’ammirazione che prova per Willie.

Una volta quest’uomo di colore era un bravo poliziotto, troppo bravo forse, perché un boss criminale sentì il bisogno di sbarazzarsi di lui incastrandolo con una falsa accusa di corruzione. Willie fu espulso dalla Polizia e si arruolò volontario per andare oltremare in una guerra non molto amata. Qui una granata gli esplose quasi in faccia. Non riportò danni al volto, nulla che un bravo chirurgo militare non potesse mettere a posto comunque, ma i suoi occhi rimasero danneggiati ed in breve tempo perse la vista, Al suo ritorno a New York riuscì a rimettersi in sesto e, grazie all’aiuto di Matt Murdock, anche a dimostrare la sua innocenza e a trovare un lavoro. Un buon esempio di come si possa superare un handicap.

-Sei arrivata appena in tempo.- le dice Willie –Matt mi ha appena chiamato: ci vuole nel suo ufficio.-

-Ottimo, Un nuovo incarico mi distrarrà dalla noia.-

-Un po’ di entusiasmo non guasta mai.-

            Dakota si chiede se Willie volesse prenderla in giro, ma accantona subito il pensiero.

            Pochi minuti dopo sono davanti a Matt Murdock. Un altro uomo da ammirare, pensa la ragazza: anche lui ha saputo superare la sua cecità e costruirsi una brillante carriera come avvocato. Sembra che non gli pesi affatto essere cieco e talvolta le sembra che da sotto quegli occhiali neri riesca a vedere cose invisibili agli altri, ma questa, ovviamente, è solo fantasia.

-Immagino che abbiate sentito parlare di Mister Fear.-

-Certo.- replica Willie –Pensi che ci sia lui dietro le due ondate di paura di ieri a Manhattan?-

-Anche il Daily Bugle di oggi lo pensa.- interviene Dakota.

-Non leggo abitualmente i giornali, come certo capirà, Miss North.- replica Matt con un lieve sorriso.

-Credevo che avessimo stabilito di darci del tu.-

-Giusto, scusa... a volte me lo dimentico.-

            Sorride ancora, un sorriso caldo, sincero, affascinante, capace di incantare una giuria… e non solo. Basta, s’impone Dakota, devi essere professionale.

-Che vuoi che facciamo?- chiede.

-Vorrei che scopriste tutto quello che potete sulle attività di Mister Fear e dove potrebbe nascondersi.- risponde Matt.

-Perché? La Polizia, l’F.B.I. e  magari l’F.B.S.A. devono essere già sulle sue tracce, cosa ti fa pensare che noi possiamo fare di meglio? E a te cosa ne viene?-

-Io e Mister Fear abbiamo un po’ di storia in comune anche se l’uomo dietro la maschera è cambiato spesso. L’ultimo Mister Fear conosciuto si chiama Alan Fagan. Suo zio, Larry Cranston, il precedente Mister Fear, era mio compagno di corso alla Columbia e fu mio socio quando stavo a San Francisco. Morì precipitando dal tetto di un grattacielo e mi dicono che quel che restava di lui quando lo raccolsero da terra non era molto bello da vedere. Suo nipote ne ha ereditato i beni ed il ruolo da supercriminale. Una decina di giorni fa Mister Fear era proprio a San Francisco.[6] Coincidenza o qualcos’altro? Voglio saperlo.-

            Dakota sente che c’è qualcos’altro, qualcosa che Matt non sa o non vuole dire, ma ognuno ha diritto ai suoi segreti e lei ne sa qualcosa.

 

            Altrove un uomo che indossa una maschera su cui è stampato un teschio stilizzato, si rivolge ad un altro con un camice bianco chino su delle provette:

-Allora, dottore… ci siamo?-

-Direi di sì.- risponde l’altro –Voleva una versione potenziata del gas della paura e l’avrà.-

-Quanto ci vorrà per produrne una quantità adeguata.-

-Pochissimo. Tra quanto serve?-

-Domani è troppo presto?- sotto la maschera Mister Fear sogghigna –Devo dare una lezione a New York e ad un certo tizio vestito da diavolo.-

 

 

4.

 

            Si potrebbe dire che tra me e Mister Fear c’è una questione personale. Ci sono stati quattro uomini che hanno usato quel nome e quel costume, io li ho affrontati tutti e gli ultimi tre non solo ce l’avevano con me personalmente, ma conoscevano la mia identità segreta, un particolare che ho volutamente omesso quando ho raccontato la versione breve della storia a Willie e Dakota.

            Il primo Mister Fear, Zoltan Drago, era un chimico fallito con un bel po’ di rotelle fuori posto. Si era messo in testa di inventare un composto che desse vita alle statue di cera del museo di cui era proprietario ed invece finì con lo scoprire un gas che indiceva artificialmente la paura. Mi scontrai con lui agli albori della mia carriera[7] e lo sconfissi. Era appena uscito di prigione che fu ucciso da un altro mio nemico, l’inventore Starr Saxon, che gli rubò costume e attrezzatura per vendicarsi del fatto che  gli avevo rovinato un certo suo piano. Saxon morì cadendo dalla sua piattaforma volante,[8] In seguito avrei saputo che la sua coscienza era stata trasferita in un corpo robotico e lui era rinato come Machinesmith. Se non altro si è fissato con Capitan America e mi ha lasciato in pace.

Mister Fear non aveva ancora finito con me, però. Il mio vecchio compagno di corso all’Università Larry Cranston in qualche modo contorto incolpava me per i suoi fallimenti come uomo ed avvocato e per essere, a suo dire,  sempre vissuto alla mia ombra. Come Saxon, aveva scoperto che Matt Murdock era Devil ed usato questa conoscenza per colpire me e la Vedova Nera usando anche lui l’identità di Mister Fear. Incontrò il suo destino cadendo dal tetto del palazzo dove avevano sede i nostri uffici legali.[9]

E veniamo ad Alan Fagan. Deve essere stato lui con cui mi sono scontrato qualche tempo fa a Ryker’s Island[10] e successivamente quando ha cercato di guadagnarsi una taglia posta sulla mia testa da un altro mio nemico.[11] Chi altri avrebbe potuto essere?

Eppure mi viene un pensiero molesto… e se Larry avesse pianificato tutto, compresa la propria morte? Se avesse solo finto di aver dimenticato il suo jetpack e ne avesse avuto uno di riserva? Se si fosse procurato un cadavere da gettare nella strada al suo posto? Se si fosse ritirato nell’ombra e lasciato al nipote le luci della ribalta? Non hanno fatto il test del DNA a quel che restava di lui dopo la caduta e perché avrebbero dovuto? Bastava la testimonianza di Jason Sloan[12] e mia per confermarne l’identità. La fuga perfetta: ora tutti starebbero cercando l’uomo sbagliato mentre lui se la gode con una nuova faccia ed un nuovo nome e magari Alan Fagan giace da tempo in qualche canale abbandonato delle fogne a far da cibo ai topi,

            O forse sono io che sono paranoico, altrimenti perché sarei qui in questo cimitero, nelle vesti di Devil davanti alla cappella privata dei Cranston come se sperassi di scoprire chissà cosa? Mi aspettavo magari la comparsa ad effetto del supercriminale per uno scontro con l’eroe? Se è così, rimango deluso.

            Sto per allontanarmi quando il mio superudito coglie quello che sembra un brusio indistinto ma che diventa rapidamente una sorta di urlo collettivo.

            Esco in fretta dal cimitero e mi trovo di fronte ad una folla di persone che avanza. Niente  supercriminali, solo uomini e donne comuni molto spaventati. Posso letteralmente sentire l’odore della loro paura… no... l’odore di ciò che fa avere loro paura: il gas del mio vecchio nemico. Lo sento che mi penetra nei pori, che invade i miei polmoni. Vorrei scappare, ma resisto. Se non fosse per tutta la meditazione e le tecniche che mi ha insegnato Stick per controllare i miei sensi, e isolarmi dal mondo, ora sarei a terra piagnucolante o correrei senza meta.

            No, non lo accetto. Mi chiamano l’Uomo senza Paura, è ora di dimostrarsi degno di questo nome. Mi ci vuole tutta la mia forza di volontà per riprendere il controllo di me stesso; Forse è per questo che i miei sensi non mi avvertono in tempo della marea umana che mi sta venendo addosso. Uomini e donne  che corrono e urlano. Vedono fantasmi che esistono solo nella loro immaginazione. Mi buttano  a terra, perdo il mio bastone. Faccio fatica a districarmi, i miei sensi sono distorti, ma alla fine  lo trovo  e cerco di rialzarmi.

            Un uomo cerca di colpirmi, il cuore gli batte come un tamburo il suo respiro è come un mantice. Non è in se. Delle tante mosse che conosco per renderlo innocue scelgo quella che lo abbatterà senza quasi dolore, poi lancio il cavo del mio bastone, che si arrotola intorno alla cima di un lampione e mi faccio tirare su con tutta la forza che posso usare.

            Da una posizione più elevata lascio che i miei sensi mi informino della situazione. Se qualcuno oltre a me ha mantenuto il controllo di se in quest’angolo di Manhattan, sarà meglio che intervenga alla svelta, perché io non da solo posso fare molto.

 

              Franklin Edward Nelson Jr., che gli amici chiamano Foggy perché a volte sa rendersi, diciamo così, evanescente, è un avvocato più in gamba di quanto pensano molti quando lo vedono.  È vero: è cicciottello ed anche un po’ goffo, ma il vero talento non passa mai inosservato ed è per questo che è stato selezionato per la nomina a Procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Sud dello Stato di New York, posizione in cui ha ottenuto significative vittorie contro il Crimine Organizzato. In questo momento sta studiando un caso molto importante che per lui ha anche riflessi personali[13] quando sente un urlo che gli fa alzare gli occhi verso la porta dell’ufficio. Subito dopo una delle  segretarie spalanca la porta ed entra brandendo una statuetta gridando:

-Non mi avrai, non mi avrai.- e la scaglia contro Foggy.

            Vedendo Kathy Malper pochi direbbero che non solo è un Vice Procuratore degli Stati Uniti, ma che è anche il capo della Divisione Penale, la più stretta collaboratrice di Foggy Nelson. Tutta colpa (o merito?) del suo modo di vestire: jeans, giubbotto di pelle e non dimentichiamo il berretto dei New York Yankees. Kathy se ne frega di quel che dicono di lei e va dritta per la sua strada. Quando esce dall’ascensore nell’atrio del St. Andrews Plaza, sede della Procura. Guardie ed impiegati sono rannicchiati in qualche angolo tenendosi la testa o urlando contro invisibili presenze. Cosa sta succedendo? Si chiede la giovane donna un attimo prima che una sensazione di panico la avvolga. Si porta le mani al collo, cerca di urlare ma non ci riesce, le gambe le cedono.

 

            Per Dakota North non è stato affatto difficile trovare l’indirizzo di Alan Fagan, una mansarda in un elegante e costosissimo condominio residenziale con vista sull’East River.

            Naturalmente l’investigatrice dai capelli rossi non è così ingenua da credere che un criminale ricercato si sia stabilito nel suo appartamento, ma forse potrà lo stesso trovare qualche indizio.

            Una volta raggiunto l’appartamento è un gioco da ragazzi forzare la serratura, ne ha incontrate di peggiori.

            Appena entrata la prima cosa che l’accoglie è il tipico odore di chiuso. Questo posto è vuoto da tempo, pensa Dakota, forse da quando Fagan è stato arrestato la prima volta.[14] Cosa si aspettava di trovare? Magari un tunnel segreto che portasse ad una qualche Fear Caverna? Ridicolo, ma ormai che c’è tanto vale dare un’occhiata in giro.

-Ahi ahi, ahi, Miss North…non le hanno mai detto che è scortese entrare nelle case altrui senza essere invitati?-

            Al suono di quella voce Dakota si volta di scatto per trovarsi di fronte  Mister Fear in persona... ma da dove è sbucato?

            Dakota impugna la sua pistola e la punta contro la figura in costume che avanza verso di lei.

-Perché mi punta contro quell’arma, Miss North? Non avrà per caso paura d me?-

            Ed è proprio così, no? Quella che Dakota sente è proprio paura, un cieco profondo, terrore a cui non riesce a sottrarsi.

            Le mani le tremano mentre agita la pistola e grida:

-Sta lontano… non ti avvicinare o io… io…-

            Indietreggia su gambe malferme e non si accorge di qualcosa sul pavimento che la fa inciampare.

            Dakota North perde l’equilibrio e piomba indietro, sbatte contro una finestra. Il suo stesso peso la sfonda e lei si ritrova spinta fuori, nel vuoto... e non le resta che urlare.

 

 

FINE PRIMA PARTE

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Riprende, dopo molto tempo, ahimè. La serie di Devil scritta dal sottoscritto a cui da oggi si affianca una nuova serie, scritta dal nostro fondatore, presidente o, se preferite produttore esecutivo. Non dovrei essere io a dirlo, perché apparirei, forse, interessato, ma vi consiglio caldamente di leggerla, non rimarrete delusi.

            Poco da dire su quest’episodio, perché le informazioni necessarie sono state fornite nel corso della storia. L’unica informazione essenziale è che questa storia si svolge immediatamente prima di Daredevil #1.

            Nel prossimo episodio: qual è il piano di Mister Fear? Quale sarà il destino di Dakota North? Che intenzioni hanno Richard Fisk e Jimmy Six? Scopritelo su Devil #52.

 

 

Carlo



[1] University of California Los Angeles

[2] Joseph Robertson, il direttore del Daily Bugle.

[3] Come visto in Moon Knight #15

[4] I dettagli su Luke Cage MIT 11

[5] In realtà i Marvel fan più attenti sanno che le cose sono molto più complesse di così’

[6] Vedi Ragno Rosso #17/18

[7] Daredevil Vol. 1° #6 (Prima edizione italiana, Devil, Corno, #6).

[8] Daredevil Vol. 1°# 54/55 (Prima edizione italiana, Devil, Corno, #51/52).

[9] Daredevil Vol. 1° #90/91 (Prima edizione italiana, Devil, Corno, #89/90).

[10] Daredevil Vol. 1° 366/367 (Devil: Delitto e Castigo, Collana Bookstore #54, Marvel Italia).

[11] Devil MIT #14

[12] Socio di Matt quando lui viveva a San Francisco.

[13] Quale caso? Scopritelo leggendo Marvel Knights #53.

[14] Su Marvel Team Up #92 (Prima edizione Italiana Settimanale dell’Uomo Ragno, Corno, #43).